scritti miei
ROMA 2007 - TUMA'S GALLERY
Parlerò del lavoro creativo,( anche del mio), e proverò a chiarire perché mi sono state d’aiuto le due
opere di Zellini e Magris. Per chi ancora non ha letto questi libri ( io li ho letti tardi e “Breve storia
dell’infinito” non l’ho ancora finito) , un avvertimento:quest’ultimo non è un romanzo ma un
affascinante scritto di matematica filosofia poesia arte miti archetipi… sull’infinito.
“ L’Anello diClarisse”(sottotitolo: Grande stile e nichilismo nella letteratura moderna) è una analisi
della letteratura a cavallo tra Ottocento e Novecento nel momento – attenzione - del frammentarsi
dell’io e del dissolversi del grande stile e della certezza dell’Epicità e va da Hofmansthal a Ibsen, da
Sperber a Walzer ….ecc….e vale, ancora oggi. Lo cercavo, senza tuttavia conoscerne il contenuto L’ho letto,
nove anni fa, quando era proprio arrivata l’ora di leggerlo.
Ho un presuntuoso sesto senso per scegliere i libri e questo libro come quello
di Zellini, andava benissimo per me allora, ma anche adesso. Sono convinta, lo spero, che ora,
dopo averlo letto, posso finalmente accettare il mio modo di lavorare, di dipingere, con i limiti
illimitati e l’illimitato che limita ogni procedere creativo. Nell’Anello di Clarisse c’è una
chiara definizione della poesia : “ La Poesia si rivolge all’individuale senza annullarlo nell’universale,
non volatilizza, come diceva Kierkegaard, l’esperienza sensibile nell’essenza immateriale del
concetto, ma ne salva la particolarità nell’immagine; non sopprime la contraddizione, bensì mantiene
in vita i suoi termini nella loro perenne tensione…” Definizione che si addice all’Arte, perché no?
Se a parlare della poesia, poi sono poeti,( penso a Pound, V:Woolf, Eliot , al balenare di Cristina
Campo), l’analisi è più profonda, immediata, rivelatrice di quanto simili siano i due processi. Zellini
e Magris, come poeti, in questi scritti, erano, per me, illuminanti. Sono stata,
così, trascinata , anche da Regina, anzi soprattutto da Regina a riparlare, perché non dico niente di
nuovo, di contraddizioni e tensione perenne, quello che succede nell’atto del dipingere, come nel fare poesia…
Contrapposizioni, luce ed ombra, tentativi difar apparire universale la propria ossessione dipingendo,
di risolverla in una immagine perfettamente espressa, di mantenere la tensione ma senza enfasi
(quella che, maledizione, sto spargendo in questo momento). C’è dell’altro: per chi come me, inoltre,
fa della pittura in preda a dualismi, frammentazioni, disgregazione, eccessi di visionarietà persecutoria,
tantissimi quadri non finiti o in lavorazione, saltellamenti, fughe in avanti, ritorni e infinite
soluzioni e cancellazioni prima del compimento del quadro che avviene poi, inconsciamente,
anticipato da strani impercettibili presagi, quale migliore giustificazione a questo anomalo procedere,
dell’esistenza di libri dedicati proprio alla frammentazione dell’io, al dubbio, alla celebrazione
dell’incertezza, libri che, nel folle barcamenarsi tra i limiti infiniti di questo misterioso, infinito processo
del dipingere, aiutano, almeno, a venire a patti con se stessi.
Ora vi tranquillizzo: non ho capito a fondo quello che cercavo, né sono sicura riuscirò a spiegarvelo,
anche se questi libri sono fari sbattuti nella mia notte. Perché è così (almeno di una cosa sono
certa): il pittore resta sempre in bilico tra conscio e inconscio, non può, né deve trasformare le sue
opere in parole. Meglio non si conosca troppo. Un pittore non è un intellettuale.
Allora tutto quello che ho predicato sull’aiuto che mi hanno dato questi libri? Bene, qualcosa è rimasto:
l’accettazione dei propri limiti o difetti che in pittura è meglio sempre esasperare, uno dei tanti
modi di mettersi nelle condizioni di lavorare, che è la cosa più difficile, come diceva Brancusi.
Da “L’Anello di Clarisse “ di Claudio Magris
“…La vita non dimora più nella totalità, in un tutto organico e concluso” scrive Nietzsche che cercava
di definire l’essenza della “décadence” ossia della modernità.”
“…..la realtà non ha una base di valori sulla quale poggiare….è una dimora dalla quale la vita è stata
sfrattata…perde i confini che le davano forma e ordine e trabocca da ogni argine…come il proliferare
del romanzo stesso, le migliaia di pagine ed abbozzi che si protendono in tutte le direzioni..”
“…l’illimitata incompiutezza della vita si risolve, come scrive Nietzsche…in una anarchia di atomi,
che sconvolge ogni gerarchia delreale e dello stesso discorso che dovrebbe dargli ordine: la parola si
rende autonoma dalla frase, la frase si emancipa dalla pagina e ne oscura il senso, la pagina si affranca
dal testo, l’intero non è più intero.”
“..la disarticolazione della totalità infrange…il grande stile. Quest’ultimo è visto anzitutto quale capacità della
poesia di ridurre il mondo all’essenziale…in una laconica unità di significato…e costringe e comprime
le dissonanze della vita…in questo senso è anche violenza…
impone alle cose la camicia di forza dell’identità.”
“…il grande stile presuppone una prospettiva dall’alto….e un soggetto capace di porsi quale ordinatore.
D’altra parte Nietzsche dissolve l’idea stessa di soggetto, la sua identità e la sua unità, in una
anarchia di atomi; il suo oltreuomo….è un nuovo stadio antropologico, ….una pluralità di nuclei
psichici liberata dalla rigida e repressiva corazza dell’identità che blocca il fluire della vita…..l’arte
è chiamata non solo a rappresentare ma anche ad attuare questa dissoluzione …”
“..l’individuo (è Hofmansthal, sempre citato da Magris) sa di essere costituito davuoti e da frammenti
dissestati (rita: è il mio caso)… ma cerca di trasformare questo mobile spazio nella propria identità
…(rita: quello che sto cercando di fare).
“…l’arte moderna è, infatti, secondo Broch, eterogenea e disorganica, è anarchia che riflette l’anarchia;
il grande stile contemporaneo –se e in quanto può esistere-deve assumere su di sé, nelle sue
forme,questa caoticità, per essere fedele alla verità: alla verità dell’assenza o della latitanza delsenso,
che per Broch non implicano tuttavia mai la rinuncia all’esigenza e alla ricerca del senso stesso.
“..L’uomo senza qualità (o senza proprietà, traduzione più giusta) è fatto di proprietà senza l’uomo
( questa volta è Musil)..le sue proprietà non possono essere più riferite a una sostanza che dia loro
senso e unità, ma sono un amalgama privo di centro.”
“…se si affida alla parola – “un pregiudizio” che, secondo Nietzsche, irrigidisce le potenzialità del
vivere- la conoscenza, che fissa lo sguardo nel fluire dionisiaco senza fondo, inciampa, dice ancora
Nietzsche, in “parole dure come sassi” e finisce per“ rompersi una gamba”…..t
uttavia Nietzsche, anche nostalgico dell’arte aristocratica del passato…ammira…il grande stile..ma
ne celebra soltanto la forza organizzante…
“..nel mondo del grande stile si muore come il gentleman sudista di Ombre Rosse, del quale viene
mostrata, con stringata imperturbabilità, soltanto la mano che si sporge dalla diligenza assalita dagli
indiani e che lascia d’improvviso cadere la pistola; non si muore come nei western di protesta e da
macelleria, col sangue che schizza da tutte le parti….”
“Grande stile è anche….la bellezza che tronca il fiato…” “… Grande stile è quello di Holderlin e di
Trakl, non già nonostante bensì a causa del suo ritmo teso e spezzato,che non è tale per ricerca di
sperimentazione linguistica, ma per l’intensità sconvolgente dell’esperienza…per il poeta moderno
l’espressione di questa esperienza –del valore e del senso ultimo della propria esistenza- non può
avvenire in placida armonia inserendosi nella continuità di una tradizione e di un linguaggio, ma può
aver luogo soltanto negando e infrangendo quell’armoniosa continuità, ponendosi fuori di essa….Il
grande stile…. può essere anche un discorso spezzato, se in questa incrinatura esso non mima
espressionisticamente il disordine…ma esprime la tensione a cogliere un ordine….”
“..l’avanguardia nega il pensiero rappresentativo ed il senso che esso vuol dare al mondo o trovare
nel mondo, e riduce il proprio linguaggio a segni autonomi, che non vogliono rimandare a significati
della vita bensì proclamare la loro autosufficienza… Hoffmansthal capisce a fondo la felice contraddizione
della grande avanguardia difine secolo, che -vivendo ed esprimendo l’esilio dell’essenzialedice il suo svanire,
evoca per contrasto e per negazione il senso assente…un senso della vita, perché
dicendo i confini del linguaggio rinvia a ciò che sta oltre quei confini, se è vero che porre
un limite –notava Hegel- vuol dire già oltrepassarlo…”
( rita: sempre sul dubbio e le certezze ancora alcune frasi brevi e illuminanti:)
“…Il significato di estate è preciso, ma non dice ancora quale senso evochi questa estate, la chiarità
trasparente o il grave splendore, una tersa azzurra malinconia o una meridiana ebbrezza dionisiaca.”
“…La retorica classica…un linguaggio che sembrava corrispondere all’universale struttura della ragione
e poter dire a tutti, per sempre, che l’aurora ha le dita di rosa…”
“…L’opera compiuta non corrisponde mai a quella nostalgia diforma che aveva mosso lo
scrittore a comporre l’opera.”
“ ….Il segreto della vita,( Hofmanstahl) è l’antitesi-complementarità di fedeltà e metamorfosi,
mutamento e durata; il segreto è cogliere quell’antitesi quale complementarità e vivere quella tensione
quale armonia…. la crisi della parola e il suo ammutolire fondano il grande stile anziché sgretolarlo,
creano o ricreano quel silenzio -violato dal rumore della letteratura- necessario all’essenzialità della
poesia. Il grande stile, scrive Hofmansthal, è anzitutto arte di tacere.”
“…L’epos antico appariva permeato…da un senso unificante; il pensiero moderno deve fondarlo,
con l’autoritarismo insito in ogni costruzione, o rinunciare a fondarlo, con la regressione che questo
nulla comporta…è questo conflitto che segna, insanabile, la nostra condizione…”
“…..la vita vera (a proposito di Svevo) si è esiliata dal reale per rifugiarsi nella microanalisi della
della realtà, nella riflessione su se stessa…il sentimento vibra struggente solo nella mediazione,
quando viene filtrato attraverso l’analisi della sua disgregazione e del suo esilio…Non è il superamento
del problema, bensì la rivelazione e l’esasperazione della sua insuperabilità. …” Il tremore di
Saffo non è un aldilà sentimentale, che brilla oltre quei versi; quel tremore è quel verso, è indissolubile
realtà che non esisterebbe senza quel verso.”
(rita:se il Verbo si fece carne, qui è la carne che cerca difarsi Verbo. Facciamo il contrario di Dio,
ma almeno cerchiamo di fare Arte.)
“…nessuna parola esiste senza un rapporto con l’indicibile che non è un altrove inaccessibile, ma è
il continuo fluire della vita nella parola, ciò che si fa parola e ciò che in quel momento è ancora sotto
la soglia dell’espressione,…..l’ineffabilità che di continuo si risolve nell’espressione e si sottrae ad essa…”
(rita: ogni quadro è la limitazione di un’idea, ma è meglio una pittura limitata che il nulla.)
Da “ Breve storia dell’infinito” di Paolo Zellini
“C’è un concetto che corrompe e altera tutti gli altri. Non parlo del Male, il cui limitato impero è
l’Etica: parlo dell’Infinito.” Così Borges introduce la sua breve biografia dell’Infinito in “Otras
Inquisiciones”. Ma anche altrove traspare la sua concezione dell’infinito, spesso dissimulato in idee
ad esso collegate, come assoluto male metafisico, operante nel cosmo come seme di disordine e assurdità.
Non c’è nulla di più pericoloso della perdita del limite e della misura: l’errore dell’infinito è
la perdita del valore contenuto nella relativa perfezione di ciò che è concretamente determinato e
formalmente compiuto, ed induce perciò a smarrirsi nel nulla o in un labirinto senza via d’uscita.”
“…nel pensiero greco alludere all’infinità voleva dire ricorrere a un termine disignificato certamente
non identico a quello racchiuso nel nostro “infinito”. Il termine che lo definiva era “àpeiron
“ che vuol dire letteralmente “senza limiti” e quindi illimitato…..natura da un lato
divina e incorruttibile ma dall’altro ambigua e refrattaria ad ogni tentativo di comprensione.” “…ma
può un principio negativo essere associato al divino?…..” “ Dio è definibile solo come essere
indefinibile….l’unica descrizione possibile…”( rita: così dell’arte si può dire tutto quello che non è, non ciò che è.)
“…..L’infinito (è Aristotele) non è ciò al di fuori di cui non c’è nulla, ma ciò al di fuori di cui c’è
sempre qualcosa…ciò che è completo ha una fine e la fine è un elemento limitante, mentre l’àpeiron
indica appunto ….l’assenza di ogni limite…il limite è ciò che fa esistere concretamente ogni oggetto,
conferendogli in ogni istante una sua propria forma e individualità….d’altronde non esisterebbe storia né
evoluzione di alcun tipo se non esistesse, accanto al limite, un principio di natura opposta che
ostacoli la tendenza di ogni oggetto a permanere rigidamente fissato nei contorni della sua esistenza
impostagli dal principio del limite. Tale principio è appunto l’illimitato. “ …..l’illimitato era per
Aristotele il substrato materiale degli oggetti visibili, immaginabile per un certo verso come la loro indefinita divisibilità…..”
“…quando la divisione è portata (idealmente ) alle conseguenza estreme, cioè agli infinitesimi, la
forma originaria appare disgregata, irriconoscibile e ricondotta infine a ciò che potrebbe trasformarsi in altro…”
“..ogni cosa, ripete Platone, ha in sé connaturati il limite e l’illimitato…l’uno e il molteplice… è
ravvisabile come un tutto completo… ma è anche l’insieme di tutte le sue parti… sfuggente ad una
effettiva ed esauriente numerazione…” ( tutto questo ci appare, anche inconsciamente, davanti al
quadro in lavorazione ed è anche, in letteratura, per esempio, l’indeterminismo di Pizzuto, il suo
verbo al modo infinito, è Virginia Woolf che lo scrittore siciliano teneva in grande considerazione, è
Jacob’s room …” Il confine costituisce l’arcano del fenomeno, il segreto della forza, della fortuna,
della fede e del problema disostenersi, uomo microscopico, nell’universo sconfinato…” ( rita: questo
era Musil, citato da Zellini e questo è anche il dipingere, i limiti necessari per la pittura o accidentali
da superare, il compimento di un quadro.)
“….ma il limite incarnato in qualche regola morale o norma etica non può costituire un assoluto e
deve essere sempre alimentato, per sopravvivere, da una propria ininterrotta forza e necessità interiore:
esso è sempre soggetto all’effetto dissolvente dell’illimitato….la morale andrebbe costruita in
tal caso sui successivi gradini dell’esperienza e non sarebbe un ideale stabilito per sempre…..” (rita:
non c’è forse un riferimento al lavoro artistico?)
“….la forma infinita…è ricevuta solo in modo finito,sicché ogni creatura è, per così dire, una infinità
finita, un dio creato….eppure questa rinascimentale affermazione della pienezza formale cela probabilmente
un più sottile rapporto tra l’essere e il non essere…In altri enunciati dove prevalga l’arte
descrittiva del paradosso…si ha l’impressione di una possibile vittoria finale…dell’assenza sulla presenza formale…
Alcuni enunciati del Tao te ching: “ Si ha un bel riunire trenta raggi in un mozzo,
l’utilità della vettura dipende da ciò che non c’è…..l’utilità del vasellame dipende da ciò che non
c’è…si ha un bell’aprire porte e finestre per fare una casa, l’utilità della casa dipende da ciò che non c’è…”
“E tu hai mai pensato che l’essenza della musica non è nei suoni?…Essa è nel silenzio che precede
i suoni e nel silenzio che li segue. Il ritmo appare e vive in questi intervalli di silenzio…” ( era “Il fuoco” di D’Annunzio”).
“…l’intervallo che corre tra un ‘idea e un’idea, una cosa e una cosa è infinito, e non può essere
superato che dall’atto creativo. Ecco perché il momento dinamico e il concetto dialettico del mezzo
non è meno misterioso di quello del principio e del fine. Il mezzo è l’unione di due diversi opposti
in una unità…tiene dei due estremi senza essere né l’uno né l’altro.E’ il continuo e perciò l’infinito…
(era Vincenzo Gioberti citato da Zellini).
Nelle sue “Finzioni” Borges immaginò che uno scrittore francese contemporaneo tentasse di portare
a compimento un singolare proposito: quello di scrivere, senza rinunciare a una ispirazione spontanea,
alcune pagine che riproducessero parola per parola due interi capitoli del Don Chisciotte diCervantes.
La difficile impresa poteva in verità essere dichiarata semplicemente assurda perché il suo
svolgimento era legato a due leggi antitetiche: una costituita appunto dalla libera ispirazione, l’altra
dall’impegno a sopprimere ogni variante delmodello originale…di imitazione non si tratta e neanche,
ovviamente, di semplice copiatura…è possibile tutto questo? L’autore francese risponde testualmente:
la mia impresa non è difficile. Mi basterebbe essere immortale per condurla a termine…ecco
dunque un paradosso che svela un altro nome dell’infinito: l’eguaglianza. La vera eguaglianza è un
punto limite irraggiungibile.” ( rita: un altro riferimento alla pittura. Più che alla riproduzione perfetta
c’è una allusione ai contrasti, agli opposti e sempre all’impossibilità dirisolverli, se non con un lavoro infinito.)
“…quando si desiderano due oggettisimultaneamente già si configura uno stato psicologico in cui la
dualità esiste come fatto potenzialmente paralizzante…”
Simone Weil: “ La libertà è un limite.
Rita Angelotti Biuso
Roma ottobre 2007