recensioni
Hanno scritto di me
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Cercando di decifrare (se possibile) le ultime opere di Rita Angelotti Biuso, l’espressione che torna e ritorna è “giardino segreto”, l’angolo meditativo dove nascono e prolificano i fantasmi destinati a ribadire l’indecifrabilità delle cose. Indecifrabilità che tuttavia rivela quasi costantemente una ricerca (formale?) per dare Equilibrio a ciò che equilibrio formale apparentemente non ha : la Natura.
L’equilibrio è, chiaramente, tutto cromatico, dove il giallo si sdoppia in una cascata di tracce volatili di foglie, si rispecchia sul greto di un corso d’acqua o, ancora, fa da ghirlanda a un bagliore madreperlaceo, un foro verso la luce. La camera ottica non è al di fuori ma dentro la natura, intrisa in essa.
La ricerca di Rita Biuso è una collana di pensieri venuti da dove nascono i sogni; bisognerebbe trovare una parola fatta cadere per caso su una pagina, come una goccia; una parola per ogni pensiero, perché ogni dipinto ha una sua storia, una sua malinconia.
“The Heaven below – the Heaven above”: un’atmosfera senza Varchi, i Cieli cuciti come teloni; una piccola strada in discesa-in salita, tortuosa, fatta per sperdersi, se non fosse per quella Luce, quello Squarcio di azzurro sempre là, in fondo, in mezzo al ritrovato equilibrio di due gialli.
In quest’atmosfera un po’ sorda Rita guarda al tempo passato, alle sue origini, dove spira gelido il vento dell’Est. “Se rammentare fosse dimenticare, allora non ricordo” scriveva Emily Dickinson.
Rita indugia sul ricordo – Pola, la Dalmazia – diventano parte integrante della stratigrafia dei suoi quadri; se ne vola tra foglie e fiori, perché sa che il seno di quel fiore, di quella rosa raccolta, mancherà solo a un’ape, solo a una farfalla.
E’ questa stessa lieve/profonda sensibilità ad alitare sulle sue Epifanie, sulle sue Dissolvenze. Un quadro è legato all’altro come da un cordone ombelicale: sono note di una sinfonia che quasi stordisce nella dominante reiterazione del materiale sonoro che non permette a un ‘a solo’ di dominare. Tutto è , oltre che ‘legato’, fuso in una totale sincronia.
Sbaglierebbe tuttavia chi leggesse nelle opere di Rita Biuso un esclusivo aspetto lirico, volatile, dotato di quella vena di levitas che sovente accompagna le opere al femminile. Le sue invenzioni cromatiche, le sue Metafore, disegnano un vibrante spazio emozionale, dotato di una visione sorridente, ma anche irridente e talvolta irritata delle cose.
Nel suo “angolo meditativo” Rita designa topo-analiticamente, cioè in termini di spazio, in termini di esperienze cromatiche, quello che i poeti francesi chiamano rêverie; il mistero delle cose. Lascia l’immaginazione errare nelle cripte della memoria, così ritrovando inavvertitamente il covo dei ricordi, delle nostalgie e scopre che il sogno è più potente dei pensieri.
Enrica Torelli Landini
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La strada dove abita Rita Biuso è una strada irraggiungibile, è un tortuoso meandro, che attraversa a sua volta un altro tortuoso meandro, fra ville chiuse ermeticamente verso l’esterno. Vi si arriva, fortunosamente, ed entri nel buio di un giardino-bosco che appare non-coltivato, ma non è così. Si sale per entrare e di nuovo si scende una scala chiocciola per raggiungere il suo studio. E qua avviene l’incanto. Non sai se sei all’interno o invece nella mezza luce del giardino: le opere tutte intorno lo dominano, lo deformano, lo trasformano in una natura che si compenetra con quella esterna, naturale, del giardino, dove la mano sapiente di Rita ha coltivato una quantità di strane piccole rose, di tutti i colori e fiori non comuni, un pò alla rinfusa secondo una personale intuizione artistica. Una luce, quella dello studio, filtrata attraverso lo spessore di alberi, arbusti, siepi; una luce di un giallo vivido in autunno e squillante e iridescente nella primavera. C’è dunque un interscambio, una compenetrazione fra colori esterni ed interni, tra luce esterna ed interna. Luce e colore compongono nelle opere di Rita uno spazio emozionale che è spazio interiore; uno spazio che rivela lo stupore dell’autrice di fronte a quelle stesure timbriche e a quei segni, densi e nervosi, che inaspettatamente, magicamente si compongono sulla tela. L’opera ha una durata che va oltre la sensualità delle prime stesure; un giorno o l’altro vi si innestano altri piccoli, magici tocchi, altre sensazioni, finché la tela appaga, non tanto e non solo gli occhi ma sopratutto lo spazio interiore dell’autrice, esprimendone alcune corde emozionali che solo lei potrebbe essere capace di decifrare. Dal punto di vista formale l’opera sembra spesso voler trattenere la sensualità della materia cromatica con una struttura verticale che divide in due parti disuguali il piano del quadro e che rivela e nello sesso tempo cela i bagliori, quegli attimi magici luminosi che sulla tela si metamorfizzano in un arancio tizianesco. Rita pensa questa struttura come una finestra, una figura che era il fil rouge degli antichi oli - una figura simbolica che si chiude ostinatamente verso l’esterno ma che al contempo comunica, rivela. E ci sono molti quadri sul medesimo tema, dove leggera, talvolta impercettibile è la differenza: “…….ripetere vuol dire sovrapporre: sovrapporre in modo sempre uguale cose sempre diverse” scriveva il suo primo Maestro Toti Scialoja. Ognuno di essi ha infatti una sua storia, una sua malinconia ma, come in uno scrigno segreto, non ci è data la possibilità di possederne la chiave: sono e non sono….l’ambiguità, il dualismo sono le dominanti. C’è poi un’altra iconografia che appare costantemente nella produzione artistica di Rita Biuso: sono opere che a differenza delle precedenti costruite sula verticale decentrata, hanno come tema la centralità, uno spazio - luce che è coronato da tracce volatili di foglie in primo piano e tutt’intorno: una sorta di foro verso la luce, un’aspirazione verso l’alto. Sembra che Rita con questi suoi lavori voglia dire: “ dall’astratto io me ne sto volando in foglie e fiori, verso lo sconfinato…..il soprannaturale”. L’opera su tela nasce dopo un’elaborazione attraverso una infinita quantità di disegni, schizzi, minuscoli capolavori su carta, quasi sempre coperti dal colore, che tiene gelosamente raccolti. Similmente al processo creativo della poesia intuitiva, il dipinto nasce dunque da un complesso affollato di immagini, apparentemente gratuite e spesso indistinte che, attraverso una elaborazione inconsapevole del pensiero, arrivano in parte ad autodistruggersi. L’immagine ultima che l’elaborazione del pensiero non ha “cancellato” è la sintesi poetica che racchiude virtualmente tutte le immagini che hanno partecipato alla sua creazione. Questo aggiornamento dell’opera in tempi diversi, questa sua durata nel tempo nello spazio, evidenzia un concetto assolutamente attuale dell’operazione artistica, come esperienza vitale che non può essere espressa da una forma assoluta, invariabile, ma da un risultato formale, che porta le tracce delle modifiche apportate dalla memoria che spinge il passato nel presente. Saremo allora tentati di definire questi piccoli, intensi esperimenti grafici dei “micro-bergsonismi”, secondo un’espressione cara a Bachelard. Tuttavia sbaglierebbe chi leggesse nell’opera di Rita Biuso esclusivamente un aspetto lirico, incantato, volatile, dotato da quella vena di levitas, di leggerezza, che spesso accompagna le opere al femminile, perché la sua è “grazia di sirena e di medusa”, per citare un verso di Coleridge; e cioè una grazia che è anche velenosa e urticante. Sbaglierebbe dunque chi leggesse la sua opera solo in termini di canto e magia della pittura. A dare un comun denominatore alle sue molteplici invenzioni cromatiche e segniche c’è un pensiero profondo e inappagato, una visione sorridente ma anche irridente e irritata, delle cose. Questo accade in opere più recenti, dove non c’è più traccia degli orizzonti che popolavano le sue tele fino ai primi anni ’90. Sono dipinti di grandi dimensioni realizzati con sovrapposizioni di pennellate decise, in poche campiture separate, dove domina il grigio e la verticalità, dove non c’è più traccia - almeno apparente - di natura. Ciò nonostante, nell’estetica di questi dipinti è ancora l’Armonia che predomina; quando per Armonia si intende analogia dei contrari e, in termini tecnici, analogia degli elementi similari di ‘tono’, di ‘colore’, di ‘linea’, sotto la permanente influenza della luce, in combinazioni che esprimono gioia, serenità o dolore. Un’estetica non lontana dal grande maestro della luce. George Seurat. La camera ottica non è al di fuori della natura ma dentro la natura, intrisa nella natura; una forra senza orizzonti che inibisce una esatta percezione di rapporto tra fondo e immagine, dove i gialli intensi e i grigi, imprigionati dal segno della finestra fanno da filtro per il ricordo. Fitti segni trasversali, puntinature, confuse stesure cromatiche possono nascondere, chissà, il disegno che può stare al loro interno. Immagini ormai interiorizzate che fruttificano le enormi campiture dalla straordinaria forza energetica e solo l’andamento della stesura cromatica può a malapena rivelarne il disegno interiore, sia esso un albero, un ramo, un fuscello, una schizofrenica foglia, un possente tronco nodoso e, ancora, il disegno inquietante di una finestra. Un linguaggio destinato a ribadire l’indecifrabilità delle cose, ma anche chiamato a ricordare che i sogni sono sopratutto segni e che un quadro che rappresenta un giardino non è un giardino ma, appunto, un quadro. La tela diventa una presenza incombente, incancellabile della coscienza come dimensione fisica, luogo che accoglie tutta l’esistenza, intesa come successione di episodi, eventi, tempi. Rita Biuso cerca un valore ma si rassegna a trovarlo unicamente nel dubbio.
ENRICA TORELLI LANDINI

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I paesaggi di Rita Biuso
Questa è la prima mostra di un’artista dalla sensibilità travolgente. I risultati della mostra sono corroborati da un’attività pluridecennale che ci rende edotti di non aver di fronte una novizia. La Biuso considera i suoi lavori come veriazioni sopra un tema unico: il paesaggio. In tele e disegni si susseguono i gialli e i verdi della natura, ma il riferimento al paesaggio, più che cosa vista e trasferita con interpretazioni sulla tela, è adesione interiore ad esso, un’estensione dell’anima agli spazi aperti che si dispongono con quei colori a ritagliare campiture che poi chiamiamo cielo e siepi e prati. L’ora dell’elegia è per eccellenza il vespro, quando si attenuano i contrasti. Rita Biuso è riuscita a riportare il senso dell’elegia, della calma scansione, nella luce meridiana. C’è un disegno dal titolo “Giardino all’italiana” che mi ha ricordato gli schizzi di Michelangelo per le fortificazioni di Firenze. Una simile pulsione di energia, un’analoga fermezza di profili. Un paesaggio può non essere solo abbandono e consolazione,la Biuso dimostra che può essere anche struttura e proiezione di noi stessi.
Enzo Bilardello (Corriere della Sera 1983)

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Rita Angelotti Biuso per Hâfez
Cos’è musica? Cascate di perle che si dispongono in spazi diseguali. Se le note cadessero omogenee senza vuoti attorno, la musica non sarebbe, si presenterebbe come un grondement di tuono privo di grazia e di misura. Paradossalmente sono i vuoti, gli intervalli a determinare la musicalità delle sequenze di note e a rendere possibile l’armonia, la varietà, l’incanto dell’epifania incorporea. In modo simile, la poesia di Hafez(1325/26-1389/90) vive per le sospensioni, le metafore, le repentine inversioni di rotta, i laghi di silenzio nei quali cadono le parole preziose eassertive: “Hai pronunciato la tua canzone e hai forato le perle, vieni e armonioso canta, Hafez! / Che sulla tua poesia (collana di perle) gli astri spargono la collana di Soraya (le Pleiadi)” (traduzione letterale). “Sono un filo di perle, poeta, i tuoi versi. Rallegraci dunque cantando, / ché sul tuo canto oggi certo monile di Pleiadi scende” (versione di ScarciaPellò). “Recitasti una canzone e perforasti perle. Vieni, o Hafez, e canta dolcemente perché il cielo cosparge sui tuoi versi la collana delle Pleiadi” (versione di Giovanni Maria d’Erme). Il lavoro di Rita Angelotti Biuso si compone di una serie di studi e variazioni sul tema ispirati a due distici del Canzoniere di Hafeztradotto da Giovanni Maria d’Erme (2006). Il primo distico recita : “ I saggi sono il centro di quanto segna il compasso dell’esistenza, ma l’amore ben sa quanto storditi essi siano sulla circonferenza (CXCIII, 2). Come appaiono agli occhi codesti studi? Essi si aggregano in condensazioni di segni, note bizzarre e di nuovo conio, che arpeggiano, fluttuano in uno spazio indefinito. Le note dovrebbero succedersi ordinatamente, sia pure con andamento sincopato o torrenziale, entro un pentagramma che le imprigiona e le fa esprimere in ritmi obbligati. Qui, gli archi di cerchio, residui delle circonferenze, simboleggiano un pentagramma squinternato e in via di dissolvimento, mentre le note costituiscono un ordito senza trama, liberamente fluttuante sui fogli. Talvolta ricordano grappoli di glicine pendente e, talvolta,zocche d’uva turgide e serrate; ancora in certi fogli si apparentano a una scrittura d’aspetto simile a quelle orientali, disposta per registri, l’ordito appunto, ché la trama, la disciplina ubbidiente e scolastica è andata a farsi benedire. Con codesto disordine creativo,si allude per figure, per metafora ai saggi che, periclitando sulla circonferenza, deviati dall’amore, da un’altra armonia o disarmonia imprevedibile, si disseminano come storditi, dilapidando il loro sapere. Quanta varietà può esserci in un ritrovato così semplice, un raggrumarsi rapsodico di segni in un vuoto secco o lattiginoso, per niente propenso a risolversi in un ordine meticoloso e noioso? Come in musica, tutta la varietà che vogliamo, con il pieno delle note autenticato dai larghi intervalli intorno che le rendono possibili. Il secondo distico recita: “Quando, per un attimo, in una vita, con noi si siedono, ecco che s’alzano e, nel levarsi, piantano nella memoria la talea della passione” (CXCIV, 3). I disegni che contrappuntano codesto distico si presentano nelle seguenti forme: come organismi filiformi che si aprono a ventaglio; come gameti impertinenti che trascorrono entro un bagno lattiginoso; come annodature verticali; come crispigno, che Moravia nei Racconti Ciociari (1944-46) così descrive: «una pianta alta, prospera, con le foglie triangolari, di verde chiaro che a quanto pareva si chiamava crispigno». Ma possiamo far risalire la menzione della pianta a Girolamo Ruscelli nel 1557: «Crispigno o cardoncello rosso, cura ogni sorta di ferita, et di spasmo; ogni piaga vecchia o nuova». E perché non dunque le ferite d’amore? E in questa sequenza d’innesti s’insinua l’ipomea, che di suo può essere indiana, azzurra o porporina, e volgarmente chiamiamo campanella. Come si vede, Rita Angelotti Biuso privilegia le assonanze e gli accostamenti botanici, mentre io ho una maggiore abitudinealle metafore musicali, ma tra le due attitudini non c’è contraddizione: è la poesia di Hafez che scatena l’anarchia delle associazioni, le condensazioni e rarefazioni d’immagini. Si parva licet, mentre Cézanne costringe le sue epifanie vegetali a serrarsi in schemi geometrici compatti e quasi solidi, restituendo e trama ed ordito, Rita Angelotti Biuso disfa la tela di Penelope, rappresentandola in aggregati aritmici, con forti sacche di vuoto alla ricerca della maggiore ariosità e libertà. La poesia, nel suo farsi e dipanarsi, scardina ogni preordinato impianto logico e semantico, e si risolve nel segno, nel puro segno.
Enzo Bilardello
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Da Paese sera Venerdì 21 marzo‘86
Una trama verde e continua caratterizza il lavoro recente di Rita Biuso. E’ un interesse preciso per la superficie, intesa come luogo d’elezione dell’elaborazione pittorica. Il colore, infatti, mira a creare un piano, un velo non uniforme su cui intervengono dei segni forti, precisi e secchi che danno un senso di composizione all’opera. Frammenti di linea, angoli o una striscia colorata che segna l’orizzonte, questi semplici elementi formali liberano la tela dalla tentazione al monocromo e la pongono in un ordine linguistico più libero ed immaginativo.
E’ una zona di transizione quella che frequenta la Biuso: la sua astrazione accumula la memoria sensibile del paesaggio. Nasce, così, un’intenzione di costruzione lirica, che si nega alla figurazione ( che mostra solo le scorie del reale) e produce una ritmica della forma. La Biuso ottiene questo scarto linguistico introducendo sul piano dei frammenti che squilibrano l’ordine neutro della simmetria ed obbligano l’opera a ricomporsi secondo un nuovo tragitto analitico e poetico. L’equilibrio non è una forma, l’equilibrio è il fine del quadro.
Lorenzo Mango
( per una mostra all’Ariete, Via Giulia 140, Roma
7 marzo – 2 aprile ’86 )
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Il "puzzle cosmico" di Rita Biuso.
E' difficile raggiungere un equilibrio tanto sofisticato e prossimo alla perfezione nell'uso dei materiali delle arti visive. Anzi, in questo caso, tra materiali canonici e in storico antagonismo come quelli attinenti il disegno e la pittura, nonché la formulazione della luce e dell'ombra. Rita Biuso ha tentato fin dalle proprie origini linguistiche tale operazione e debbo dire che i risultati dimostrano l'efficacia della sua ricerca in tal senso. I suoi "paesaggi" sono ricavati da campi ottici ristretti, in cui i contrasti chiaroscurali si circoscrivono e si esaltano, il segno esprime arabeschi di foglie frementi, agitate dal vento, trapunte da raggi di luce come un caleidoscopio vegetale. Una umile zolla con la vibratilità dei fili d'erba e punteggiata di sole e' parte di un tutto recondito ma individuato come protagonista dell'opera.
La stessa scelta dei temi, meteorologici, estemporanei, in fluido trascorrere, sta a sottendere il fuggire del tempo, la metamorfosi della realtà, (che è sempre più apparente che sostanziale), un "hic et nunc" che è inarrestabile, immanente trasmutazione.
Un linguaggio, quello della Biuso, che trova nel sortilegio matematico del Divisionismo di Seurat il proprio termine di riferimento e di fantastica sollecitazione tra colore e ragione figurativa, nonché, nel filtraggio sapientemente scomposto dei colori, il comune denominatore formale.
Ne emerge una frazione di realtà, parte di un "puzzle cosmico", che trova risposta in se stessa e in quel tutto che vuole sottendere con diagonali, scorci cromatici e abissi d'ombra.
Una visione biologica pulsante,fatta di spazio, tempo e colore, che, al di là delle azioni e delle immagini quotidiane, vuole essere un invito a godere dei frammenti della vita per ricomporli nella totalità dell'esistenza.
Maurizio Marini

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“Paesaggi non realistici e descrittivi, realizzati con un un deciso e interessante uso del gesto e del
segno” (Mario de Candia - Repubblica -1986)
“……la riflessione sullo spazio, propria dei percorsi attuali della pittrice, dopo un vecchio
innamoramento per il segno, è sopratutto la personale rilettura di un cammino antico che parte
dall’individuazione di una oggettiva spazialità, come ambiente naturale, per giungere a
determinare simmetrici livelli di presenza, dove il colore si depone come un filtro, lasciando
intravedere altri luoghi…” Sergio Guarino - L’Avanti 1983)
“ Tra le più valide come tutta una serie di grafiche preziose….. e di Rita Biuso con i suoi verdi
“frammenti di paesaggio…” (Paese Sera - Berenice - 1983)
“….dove la tessitura della pennellata simula suggestivamente le trame pulsanti del fogliame, dei
vapori atmosferici, il perenne mutamento delle luci e delle ombre.” Giuseppe Toffolon - RAI
Trento - 1985
“….la sua astrazione accumula la memoria sensibile del paesaggio. Nasce, così, un’intenzione di
costruzione lirica, che si nega alla figurazione (che mostra solo le scorie del reale) e produce una
ritmica della forma…”. Lorenzo Mango - Paese Sera 1986
“Rita Biuso studierte Kunstgeschichte und Bühnenbild an der römischen Accademia di Belle Arti .
Ihr Gebiet wurde die abstrahierte Landschaft im optisch begrenzten Ausschnitt. Eine satte, blau -
grüne Palette lassen vom Winde bewegten und der Sonne überstrahlte Felder ahnen und das
Meer und die Jahreszeiten fühlen. ….” Rheinische Post Zeitung - 1986
“…..die Natur der Rita Biuso hat nichts Liebliches, sie ist voller Macht. Claudia Fromm per “
Kontraste II. - Mülheim a. d. Ruhr - 1987
“…..il ductus spirituale creativo nelle composizioni geometrizzanti sensibili, nonché la tensione,
coscientemente voluta, tra visione poetica e realtà decantata, trovano una rispondenza
fortemente espressiva nelle filosofie orientali.
“ …..un pensiero taoista, nella suprema, perfetta concentrazione, può aiutarci a comprendere
quanto profondamente Rita Biuso sia immersa nell’armonia della natura (del mondo): “….la notte
oscura nel peso della neve sopra un bambù, nell’estrema lunghezza di una coda di fagiano. Lo
stesso Tao risplende là, nella siepe del giardino …….”
( Libera citazione da Cristina Campo : Gli Imperdonabili. - ed. Adelphi. )
Hildegard Schmid 1991 - presentazione mostra Arte san Lorenzo - Roma - 1991
“……in un grande recente quadro la superficie è disseminata di trasparenze luminose. Questa
graduale epurazione astratta degli elementi, l’abile controllo delle masse e dei contrasti, e la
romantica questua di un ( dis) ordine naturale - quasi pagano e cosmico - ci introducono al
seducente e forte reame della pittura e dei suoi miti. “ Toni Maraini - 1989 -
“ ……vive il contrasto tra ombra e luce e li cerca entrambi, in quella frontiera dove spesso si
sovrappongono, colpevolizzandosi di essere sparpagliata e priva di rigore….” Marta Biuso per la
mostra : Calendario Istriano - galleria Ariete - Roma 1998
“ Forse la rivelazione più pura dei molteplici mondi - non tradotta in parabola ma in gesto -
sopravvive nei nobili drammi giapponesi: paraventi di paesaggi dispersi, senza rapporti di vie o di
momenti, ciascuno sollevato all’ultima solitudine e tuttavia ordinati come costellazioni. Sono tutti,
indistintamente, opere della memoria e drammi della morte. Non cercano le vie dell’inesprimibile
ma danno l’inesprimibile come la sola presenza, precisamente come lo dà il sogno: nel gesto che
indica un pino sul sentiero, in una manica sulla quale è caduta la neve.”
Cristina Campo.
“……entro nebbia avvolgente sempre tortuoso cammino, estinto il già vissuto partendone gli
spettatori. Si lo spirito un fatto: se non piuttosto l’arrivo. “
Antonio Pizzuto.
A Cristina Campo e ad Antonio Pizzuto ho rubato, loro inconsapevoli ormai, purtroppo, ( ma
chissà ), queste righe. R. A.B. 2000 Galleria Ariete - Roma
“...…Ma il segno di Rita Biuso, complesso e fecondo di mutamenti, è solo un aspetto della sua
spiritualità, della sua cultura, della sua armonia interiore….” Paola Watts Studio Watts -
Sangemini 2000.
“ …..pure una artista sostanzialmente lirica e piuttosto appartata, come Rita Angelotti Biuso, in
opere a tempera e duco del ’57 si farà tentare dalle stesure gestuali e da grovigli segnici, per poi
passare a esiti più scritturali, di cui qualche riverberazione permarrà anche nella sua produzione
successiva……….” Storia dell’arte italiana del ‘900 di Giorgio di Genova .
Generazione anni 30.